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<Vi spiego l’arte della velocità>

Ogni giorno, verso sera, il silenzio da cartolina dello specchio d’acqua racchiuso fra la punta Balbianello e gli incanti di Bellagio è attraversato da un rombo di tuono: è Tullio Abbate che prova un motoscafo a forma di proiettile. Il lago è piatto, il sole è al tramonto. E’ in un simile scenario, nel mezzo di quel ramo del lago di Clooney, che si celebra da quasi un secolo il rito pagano più atteso dai timpani degli abitanti di Lenno, Azzano, Tremezzo, Griante. Qui è nata la motonautica italiana da corsa. Qui papà Guido riuscì ad inventare l’arte della velocità. E qui Tullio Abbate, 72 anni figlio di un padre geniale fra i pionieri di quell’epoca, continua a percorrere la sua strada tracciata sull’acqua. Invisibile ai più, chiarissima per lui.

– Tullio Abbate, quando si innamorò della motonautica?

<A 14 anni, quando ero nel cantiere di papà. Lui è già un gigante, io pendo dalle sue labbra. Lui monta sul motoscafo il motore dell’Alfa Romeo di Fangio e realizza il “Laura”, bolide sul quale Mario Verga batte il record del mondo di velocità alla media di 226 kmh. Mi manda in Francia a imparare la lingua, mi fa conoscere i grandi della F1 come Stewart, Clarke, mi affida a GB Guidotti per farmi conoscere il mondo della velocità. A proposit, Guidotti è quel signore che vinse la “Millemiglia” a fari spenti con Nuvolari. Ama il mondo delle corse e comincia a correre, ma non per partecipare, per vincere>.

– La sfida è di altissimo livello. In questi quattro km di lago c’è il meglio della motonautica italiana: Abbate, Timossi, Mostes, Molinari di Lezzeno, Colombo.

<Tutte persone in gamba, che avevano lavorato con papà. Ma io ero giovane, avevo un sacco di idee in testa. E la voglia di fare rivoluzione, quella vera, quella della tecnologia. Così un giorno a Parigi, vedo metaforicamente la Madonna>.

– Apparizione miracolosa sotto forma di natante?

<Si corre la Sei ore di Parigi e in mezzo ai bolidi consueti mi appare una piccolissima barca con la carena a V. Era pure brutta. Ma contava il materiale: vetroresina. La luce, il futuro. M’innamoro e cominciano i problemi. Papà non sopporta la vetroresina. Lui che costruisce Stradivari col timone non tollera che il figlio lo tradisca così. Ma io non mi arrendo e in un garage (il cantiere mi era vietato) metto insieme il primo motoscafo tutto mio. Papà lo osserva, fa una smorfia e dice: è una cassetta dei garofani>.

– Riuscirà a fargli cambiare idea?

<In fondo mai. Però deve convincersi, perché la cassetta dei garofani comincia a vincere. Nel 1964 rischio di arrivare primo nel campionato d’Europa con un motore 1300 contro i 5000 e gli 8000 dei big. Per forza, le loro barche pesano 15 quintali, la mia 300 chili>.

– Tullio Abbate vince tutto, campionati Europei, gare mondiali, la Centomiglia del Lario. Vince anche nella vita: nel 1969 apre il suo primo cantiere quasi di fronte a quello del padre. La sfida continua.

<Da allora, in 40 anni ho sfornato 8500 barche e le ho vendute in tutto il mondo. Su quegli scafi ho avuto l’onore di mettere anche motori Ferrari, Porsche, Lamborghini . Fra i miei clienti Schumacher, Piquet, Gilles Villeneuve, Keke Rosberg, Maradona, Matthäus, Prost, Pironi, Ayrton Senna, Vialli, Mancini, Giacomo Agostini, Jacky Ickx, Björn Borg, Bruno Giacomelli, Vittorio Emanuele di Savoia, Stefano Casiraghi e la principessa Carolina di Monaco, e non per ultimi Sylvester Stallone e Madonna. Le famiglie Marzotto, De Nora, la famiglia Versace. Qui ci siamo abituati ai divi una trentina di anni prima dell’ arrivo di Clooney>.

– Così il mito della velocità sull’acqua abita nel cantiere che prima era una filanda e dove si costruivano racchette da tennis e sci.

<Sono uomo di lago e mai abbandonerei quest’angolo di mondo. Qui sono nati i Sea Star e l’ Offshore 36, l’Executive e l’ Exception, una barca che ha cambiato la storia della nautica. Velocità e sicurezza; un giorno i miei punti cardinali sono diventati anche quelli di Giorgetto Giugiaro>.

– Quando la conobbe, il grande designer le diede del matto.

<Accadde quando mettemmo in acqua l’Exception 70. Lui mi disse: “Bella ma adesso mi faccia vedere i disegni”. Io lo guardai e risposi: “Non ci sono, facciamoli adesso” . L’avevo costruita con il metodo di papà. Lui, quando aveva un’idea, tracciava quattro linee per terra e poi faceva lo stampo. Non voleva crederci, pensava non volessi dargli i disegni costruttivi e stava per andarsene … così siamo diventati grandi amici e abbiamo iniziato la nostra collaborazione>.

– Papà Guido, il guru del legno, a quel punto le diede soddisfazione?

<Lui si ritirò nel 1975. Da allora guardava il mio cantiere crescere dalla sua terrazza sul lago. Vedeva passare i miei motoscafi e faceva il controllo qualità. Capiva tutto dal rumore e dalla scia d’acqua. Mi mandava a chiamare dalla mamma Paola e diceva: “Attento, quello ha il motore troppo avanti”. Mi ha portato fortuna: dal 1975 ho venduto 250 barche all‘anno, con punte di 350>.

– E adesso che obiettivi si pone?

<Festeggio i 40 anni del cantiere e vado avanti. Sono affiancato dai miei figli, tutti ricoprono un ruolo ben preciso nel cantiere. Un bel team. In questo specchio di acqua, che ha nel dna la velocità, si continuerà a sentire il rombo dei nostri motori. Tra i miei sogni c’era una barca particolare, unica; una barca che potesse attaccare il mito del Riva Aquarama. Si chiama Villa D’Este Special ed è nata con lo schizzo di una matita. Uno stupendo motoscafo in mogano ipertecnologico e velocissimo. Mentre lo costruivo mi emozionavo e ricordavo l’arte di piegare il legno di mio padre>.

– Quando Tullio passa con il Villa d’Este davanti alla terrazza di Lenno non avverte alcun alito di vento.

<Questa volta neppure papà Guido avrebbe critiche da muovere. Il cerchio si chiude e io torno da dove sono partito. Torno da lui. Con una barca unica e con l’odore della colla sotto il naso>.

Giorgio Gandola

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