Ogni giorno, verso sera, il silenzio da cartolina dello specchio d’acqua racchiuso fra la punta Balbianello e gli incanti di Bellagio è attraversato da un rombo di tuono: è Tullio Abbate che prova un motoscafo a forma di proiettile. Il lago è piatto, il sole è al tramonto. E’ in un simile scenario, nel mezzo di quel ramo del lago di Clooney, che si celebra da quasi un secolo il rito pagano più atteso dai timpani degli abitanti di Lenno, Azzano, Tremezzo, Griante. Qui è nata la motonautica italiana da corsa. Qui papà Guido riuscì ad inventare l’arte della velocità. E qui Tullio Abbate, 72 anni figlio di un padre geniale fra i pionieri di quell’epoca, continua a percorrere la sua strada tracciata sull’acqua. Invisibile ai più, chiarissima per lui.
– Tullio Abbate, quando si innamorò della motonautica?
– La sfida è di altissimo livello. In questi quattro km di lago c’è il meglio della motonautica italiana: Abbate, Timossi, Mostes, Molinari di Lezzeno, Colombo.
– Apparizione miracolosa sotto forma di natante?
– Riuscirà a fargli cambiare idea?
– Tullio Abbate vince tutto, campionati Europei, gare mondiali, la Centomiglia del Lario. Vince anche nella vita: nel 1969 apre il suo primo cantiere quasi di fronte a quello del padre. La sfida continua.
– Così il mito della velocità sull’acqua abita nel cantiere che prima era una filanda e dove si costruivano racchette da tennis e sci.
– Quando la conobbe, il grande designer le diede del matto.
– Papà Guido, il guru del legno, a quel punto le diede soddisfazione?
– E adesso che obiettivi si pone?
– Quando Tullio passa con il Villa d’Este davanti alla terrazza di Lenno non avverte alcun alito di vento.
Giorgio Gandola